Il poeta e scrittore lucano Rocco Scotellaro, nella sua inchiesta sulla cultura dei contadini del Mezzogiorno – Contadini del Sud –, racconta che il bufalaro (la persona dedita all’allevamento del bufalo) conosceva le sue bufale singolarmente, come se fossero “cristiani”. Tanto è vero che ad ognuna di esse dava un nome. “Contessa“, “Amorosa“, “Cambiale“, “Monacella“, “‘A malatia“, “‘Ncoppe a paglia” questi erano solo alcuni esempi di nomi che il bufalaro assegnava ai suoi animali che scaturivano dalla realtà che esisteva all’interno dell’allevamento. A volte poi, i nomi si trasformavano in vere e proprie massime che nascevano dai comportamenti degli animali e dal rapporto stretto che avevano con il bufalaro: “Quanne è auste facime li cunti” (quando arriverà agosto faremo i conti) o “Chi campa vere sta massaria” (solo chi vivrà vedrà questa masseria).